Ci aveva già provato con Rossini e ora replica con Skrjabin. Così descrive Marcello Tonolo questa su nuovo rendez-vous con l’universo classico: “Nel 2015, per il centenario della morte di Alexander Skrjabin, mi è stato chiesto di reinterpretarne qualche brano in chiave jazzistica. Dopo una ponderata riflessione sul senso e sui rischi che l’operazione comportava, mi sono messo al lavoro. Ho preso in esame alcuni preludi, studi e sonate scritte per pianoforte dal grande compositore a cavallo fra ‘800 e ‘900. Doveva essere un progetto limitato ad un paio di pezzi; in realtà la musica di Skrjabin, che non conoscevo in tutte le sue sfaccettature, si è rivelata estremamente stimolante e così, brano dopo brano, sono arrivato a costruire un repertorio sufficientemente ampio da farne un CD.”
Questa la storia. E la musica, il risultato finale? Come già nel caso del compositore pesarese, anche qui prevale un tono che più schiettamente jazzistico di così non si potrebbe, portandoci ancora una volta a pensare—capita spesso, in effetti—che alla fin fine Skrjabin non sia che un pretesto, un profumo che aleggia nell’aria, perché è più che probabile che nessuno, ignorandolo a priori, si accorgerebbe del “prestito,” della rielaborazione, o anche del semplice omaggio (individuandone il destinatario, intendiamo).
Metà dei brani sono in trio, e sono i più nel solco (per quanto sempre formalmente ineccepibili, per carità), mentre un po’ meglio viaggiano le cose quando è all’opera il sestetto, con una scrittura e arrangiamenti che riecheggiano gloriosi precedenti, dal Birth of the Cool (anni di grazie 1948/50…) in poi. Non manca una certa eleganza e una sicura perizia nell’organizzare la musica, ma latita ogni traccia di originalità, il che, aggiunto alla sostanziale indefinitezza del tributo (in quanto ad aderenza, come sottolineavamo), ci fa cogliere più ombre che luci in quest’ultima fatica del pianista veneziano.