MICHELE POLGA
Doors
RedRecords (2025)
1 Back And Fort
2 Doors
3 Sunday Afternoon
4 Late Winter
5 Unsaid
6 Baxòcheche
7 Along Came Betty
8 Re-Train
9 After A While
All compositions by Michele Polga except track 7 by Benny Golson

MICHELE POLGA
Doors
RedRecords (2025)
1 Back And Fort
2 Doors
3 Sunday Afternoon
4 Late Winter
5 Unsaid
6 Baxòcheche
7 Along Came Betty
8 Re-Train
9 After A While
All compositions by Michele Polga except track 7 by Benny Golson
Michele Polga (tenor sax)
Alessandro Lanzoni (piano)
Gabriele Evangelista (upright bass)
Bernardo Guerra (drums)
Continua il buon lavoro svolto dalla rediviva Red Records, che oltre all’attività di ristampa delle storiche pietre miliari ha recentemente aggiunto al proprio catalogo alcune nuove produzioni di rilevante valore artistico. «Doors», del sassofonista vicentino Michele Polga, è una di queste e dimostra che la strada è quella giusta.
Polga non incideva un disco a suo nome da una decina d’anni, e questo ritorno discografico risulta ben concepito e non certo lasciato al caso. Per l’occasione vengono proposti brani originali più il grande classico Along Came Betty, realizzati con la compartecipazione di una ritmica oliata e assolutamente a proprio agio nell’interpretazione del repertorio. In particolare è un ispirato Lanzoni a trascinare i suoi compagni nell’accompagnamento del leader, creando una bella sintonia per tutta la durata del disco. Il sassofonista, un musicians’ musician che meriterebbe più spazio nei cartelloni dei festival, lascia qui ulteriore traccia della maturità artistica raggiunta dopo poco più di un quarto di secolo di attività concertistica e discografica. Da sottolineare anche la qualità audio della registrazione, in linea con gli elevati standard fissati nel corso degli anni da questa storica etichetta.
Dieci anni sono tanti ma con Doors Michele Polga li ha cancellati in un solo colpo. È questo l’intervallo periodale trascorso dall’ultimo disco come leader del sassofonista veneto. La Red Records bene ha fatto a produrlo perchè il lavoro è in perfetto equilibrio tra tradizione e modernità. estetica e resa melodica, personalismi e senso dell’insieme, inteso come gruppo. Probabilmente è il disco più bello e intenso del sassofonista, dove si ascolta appieno la sua voce e le sue capacità di improvvisare senza trascurare la melodia. Tutto procede, si direbbe, secondo copione, ma qui piuttosto si dovrebbe parlare di canovaccio, dalle maglie larghe, in cui si insinua non solo il sax ma anche la creatività pianistica di Alessandro Lanzoni. Il pianista copre un duplice ruolo, quello di sparring partner e allo stesso tempo di protagonista, spalla a spalla con Polga. Il risultato è evidente, un suono ampio, caldo, diretto, dinamico e ritmico grazie anche a Gabriele Evangelista e Bernardo Guerra. Insomma, una sezione ritmica perfetta per un come back di alto livello. I tre garantiscono la struttura architettonica su cui il sassofonista erige le sue costruzioni sonore. Polga è anche l’autore di otto delle nove composizioni presenti nel disco. Along Came Betty è lo standard, qui ridisegnato dal sassofonista e da Lanzoni in maniera personale e originale nel loro essere ligi ma non fedeli al verbo golsoniano. Come è regola dell’hard bop il disco si apre con un attacco subitaneo di sax di Polga. È un assalto al pentagramma fatto con una timbrica muscolare e un’ambientazione sulfurea. La title track, Doors, è un pezzo dalle movenze latine, colorato e poco dinamico. Polga dilata il tema offrendo un assolo equilibrato e in penombra, nel mezzo tra luce e oscurità. Con Sunday Morning cambia il ritmo. Un pezzo medio andante ben dosato dalla sezione ritmica e tratteggiato con cura e senso collettivo da Polga. Qui si sente come il quartetto sa dialogare senza personalismi con una idea ben definita del ritmo e dell’interpretazione testuale. La ballad Late Winter ci dice che Polga non demorde anche nei brani lenti riuscendo a mantenere tempo e tensione, sorretto da una sezione ritmica perfetta e dai contrappunti pianistici di Lanzoni. Unsaid è un balzo temporale, un ritorno agli ardori hard bop che il sassofonista affronta con taglio moderno e tenzone antica. Notevole è l’assolo di Lanzoni, da veterano del be bop in proiezione futurista. Una nuova ballad, Baxòcheche, ritorna a rasserenare l’ambiente. Ha un mood retrò, pregno di nostalgia e ricordi. La vive così Polga, adagiato sulle note del pianoforte. Re-Trane e i richiami del maestro, forse? Certo è che il sassofonista si dirige dalle parti di Coltrane, distende il suono, padroneggia la timbrica, rende essenziale il fraseggio e racconta finemente la sua storia sotto i colpi di una ritmica afrocentrica. Con il movimentato lirismo di After a While si chiude Doors, un ottimo disco di jazz contemporaneo piantato nel florido terreno della tradizione. (Flavio Caprera)
Sarebbe troppo banale evidenziare, tra le le molte qualità di Doors – ottavo album da titolaredel tenor-sassofonista vicentino Michele Polga – quella di aver operato una sintesi efficace tra innovazione e tradizione. Tenendo presente, poi, che questo è l’obiettivo minimo a cui tende ogni gruppo musicale di stampo non avantgarde attualmente attivo nell’area jazz. Un elemento che mi colpisce, invece, è la capacità del quartetto di Polga di intrecciare melodia e improvvisazione in modo quasi finalistico. Ogni nota sembra una conseguenza inevitabile, come se fosse stata scritta da un destino musicale in cui ordine ed improvvisazione, consonanze e dissonanze, riescano a convivere in un equilibrio solido e in un assetto che avvicina la perfezione. Le composizioni, otto su nove tutte originali tranne un’intensa rilettura di Along Came Betty di Benny Golson, dimostrano una padronanza assoluta della struttura e dell’intonazione strumentale. C’è ordine, ma non rigore, libertà ma non arbitrio.
Il pianoforte, il contrabbasso e la batteria costruiscono un tappeto armonico-ritmico su cui Polga vola con il suo fraseggio serrato che sa essere spesso lirico, oltre che incisivo, evocando uno spirito dinamico sicuramente personale ma che lavora in favore del collettivo di cui fa parte. La ragion pratica del quartetto — l’abilità di collaborare e rispondere intuitivamente l’uno all’altro — è facilmente riscontrabile in ogni traccia. Trovo che sia sempre importante sottolineare quest’ultimo aspetto, tutt’altro che scontato, rispetto ad altre produzioni troppo spesso caratterizzate da un egocentrico piglio autocelebrativo, che è cosa ben diversa, s’intende, dall’esigenza espressiva soggettiva. Un altro aspetto cruciale di Doors è il rifiuto dell’eccesso. Polga e sodali non cedono alla tentazione di ostentare virtuosismo fine a sé stesso. Invece, il loro approccio effervescente si manifesta costantemente in un corretto equilibrio tra emozione e tecnica. In questo modo, senza alcun dubbio, non può avvenire alcuna mistificazione della sostanza musicale proposta. Nonostante sia la prima volta che Off Topic si occupi attivamente sia di Polga che del notevole pianista Alessandro Lanzoni, non così è per il contrabbassista Gabriele Evangelista e per il batterista Bernardo Guerra, i cui nomi appaiono spesso tra le nostre recensioni musicali – provate a digitare i loro nomi nel banner di ricerca sulla pagina principale. Questo per dire che la super-formazione tutta italiana che accompagna Polga, aromatizza le composizioni del leader con una trama di supporto corposa, sufficientemente trasparente da permettere una scorrevole lettura di ciascun strumento ad ogni ascolto. Sebbene l’Autore non abbia alle spalle una discografia imponente, è sicuramente un musicista che può vantare collaborazioni con nomi eccellenti del jazz internazionale, tra i quali Paolo Fresu, Fabrizio Bosso, Carla Bley, Steve Swallow, Maria Schneider e molti altri ancora. Quasi lo stesso si può affermare riguardo il pianista fiorentino Alessandro Lanzoni, trentatré anni di musica in divenire che lo hanno visto a fianco di Kurt Rosenwinkel, Lee Konitz, Aldo Romano, Roberto Gatto, Enrico Rava, Ambrose Akinmusire, Larry Granadier solo per citarne una piccola parte.
L’apertura di queste porte comincia in modo fulminante con Back and Forth che mostra da subito l’attaccamento verso una tradizione hard bop senza mezzi termini né sotterfugi. Il sax lavora su un fraseggio assoluto, dirompente, che ricorda – ma con una timbrica ancora migliore – l’attitudine solistica di Michael Brecker. Segnalo, e non sarà l’unica volta, la splendida fase solistica del pianoforte di Lanzoni che trova spazio tra le macine ritmiche di Guerra ed Evangelista. La title track Doors appare come una tranquilla bossa-nova, con quel sapore svagato e rilassato che spesso porta con sé la musica d’ispirazione latina. Un’impronta alla Stan Getz caratterizza in questa fase il sax di Polga che si approccia con un bel tema di largo respiro, così come si distende il pianoforte lavorando egregiamente su pochi accordi tensivi, risultato di dissonanze gestite ad arte. L’assolo di Polga si sviluppa all’insegna della moderazione rappresentando in modo ottimale la gestione dei contrasti, le luci e le ombreggiature dense di un racconto che nasce sotto il simbolo solare della latinità ma che ospita angoli più scuri, frutto di una riflessione introvertita. Sunday Afternoon è un mid-tempo che va ad equilibrare la partenza bruciante della prima traccia e l’ondivaga pigrizia della seconda. L’insieme strumentale si fa compatto, più dialogante e si avverte maggiormente il ruolo della componente ritmica che ne costituisce l’insostituibile ossatura. Polga fraseggia con molta elasticità, senza ansie da prestazione, con un intervento nel frammezzo di Lanzoni molto colto dal punto di vista pianistico, oltre che tecnicamente eccellente. Il brano mi sembra piuttosto rappresentativo di questo album, in quanto ne riassume emblematicamente l’intero modus operandi. Finale tra brevi frasi reiterate e rincorse di Guerra sui tamburi.
Late Winter è la classica jazz ballad che racchiude in sé tutti gli oligo-elementi essenziali per una traccia di questo tipo. Sax quasi shorteriano, ritmica morbida, pianoforte molto cool tra le righe e sax levigato dai suoni prolungati. Gli umori densi del contrabbasso di Evangelista si spargono tra la sostanza musicale brunita del gruppo, sottolineando così il clima notturno della composizione. Unsaid recupera lo stile urgente e swingante in una classica forma hard bop, previa introduzione pianistica e ritmica. Polga si evidenzia con fraseggi in purezza ricchi di tempismo, mostrando un’esuberanza parallela ai sax più parkeriani degli americani anni ’50 e ’60. L’assolo di Lanzoni, fatemelo dire, è fantastico. Si allarga e si costringe alternativamente tra accordi dissonanti e frasi be-bop con assoluta naturalezza – del resto, ci eravamo già fatti un’idea più particolareggiata delle sue qualità nel disco solo dedicato a Bud Powell, Bouncing with Bud dell’anno scorso. Baxòcheche è un’altra ballad dai toni nostalgici che tuttavia mantiene una certa sensualità di base, esplorata soprattutto dalle note di pianoforte, mentre il sax rimane in una dimensione partecipata, più vicina ad una sfumatura malinconica generalizzata. Arriva poi Along Came Betty, un brano del sassofonista Benny Golson presente in Moanin’, di Art Blakey and the Jazz Messengers pubblicato nel 1958, gruppo di cui Golson faceva parte. Il blues originale che stigmatizzava questo pezzo presupponeva uno scambio di ampie parti soliste tra lo stesso Golson al tenorsax e Lee Morgan alla tromba. Nel caso di Doors, Polga imposta invece uno stretto rapporto a due tra sax e pianoforte dove più che un dialogo sembra un continuo contrappunto tra due strumenti che si scambino continuamente i ruoli in un clima piuttosto swingante ma lontano dal contesto blues dell’originale. Non vorrei essere troppo ripetitivo ma il pianismo di Lanzoni mi ha letteralmente steso e il suo assolo in questo contesto ne è una prova più che evidente. Re-Trane, preceduto da un assolo di Guerra ricco di colore percussivo, omaggia la personalità di Coltrane, proponendo quei fraseggi lunghi ed espansi che ne costituivano uno tra i principali caratteri dell’epoca più matura. Polga, bisogna dirlo, è molto convincente in questo ruolo, andando a pescare qualche sintomatico out of tune di stampo dichiaratamente coltraniano. Tutto ciò dimostra la duttilità e l’estrema disponibilità di questo sassofonista, col suo suono asciutto ed umoroso, realmente tra gli attuali migliori fiatisti europei. Si chiude con un ¾ più spensierato, After a While, dove si palesa un ottimo assolo di contrabbasso e un lirico fraseggio di sax che non perde lo stigma melodico muovendosi agilmente tra il tema, apparentemente disarmante nella sua scorrevolezza, e la costante eruzione strumentale pianistica.
Attraverso la classica formazione a quartetto, Polga fa filtrare i suoi registri narrativi con l’umile consapevolezza di saper raccontare la contemporaneità mantenendo le proprie antenne mentali ancora sintonizzate sulle onde della tradizione. Ma, come si diceva all’inizio, sarebbe troppo riduttivo rimarcare questa caratteristica tralasciando le qualità fluide ed equilibrate di un suono che rifugge le iperboli ma che conta comunque di appunti rapidi, talora più assorti ed intimisti, sempre ben amalgamati e distribuiti con equanime trasporto emotivo tra i componenti del gruppo.
Tradizione ed attualità, storie collettive e personali si incrociano nel ritorno discografico, dopo alcuni anni, del sassofonista vicentino Michele Polga, pubblicato dall’etichetta che, nel corso degli anni, ha svolto un ruolo determinante per la diffusione del jazz in Italia e contribuito allo sviluppo di molte idee musicali fatte proprie da musicisti come Polga. Oggi, nella sua nuova incarnazione sotto l’egida di Marco Pennisi, l’etichetta fondata nel 1976 da Sergio Veschi, oltre ad alimentare un catalogo di riedizioni realizzate con massima cura per l’aspetto tecnico e grafico, è anche “casa” di musicisti che su quei dischi rossi hanno svolto una rilevante parte del proprio apprendistato.
“Doors” farà felici i seguaci dell’hard/post bop, non pochi fra gli abbonati di traccedi jazz, che si riconosceranno, fin dalle prime note dello scattante tema di “Back and forth” nei canoni dell’amato idioma, protagonista un tenore che si iscrive nella tradizione Coltrane/Henderson, cui aggiungerei Mike Brecker, con un suono pieno, profondo ed un fraseggio fluido in grado di condurre senza forzature il veicolo del quartetto in corse sfrenate o assorte souplesse a seconda del clima di composizioni costruite con avveduto senso architettonico. Detto di una ritmica Gabriele Evangelista/Bernardo Guerra, dalle palpabili qualità di solido sostegno e dinamica inventiva, l’elemento che inserisce nel contesto interessanti aspetti innovativi è il pianoforte di Alessandro Lanzoni, già apprezzato in diverse formazioni e situazioni, che qui assume il ruolo di indirizzo verso dimensioni inattese rispetto allo sviluppo dei brani, aprendo le porte (le doors del titolo ?), ad inaspettati sviluppi ritmici ed armonici .
Prendendo come esempio il brano d’esordio, al tema dinamico ed elastico fa seguito un lungo solo del tenore costruito con accurata strategia narrativa: poi verso la metà della durata ecco il pianoforte, che inizialmente segue la traccia segnata, introducendo qualche piccolo elemento di deviazione, quindi conquista un territorio autonomo, con volute di ampio respiro che scardinano la scansione ritmica, prima della conclusione collettiva sul tema di avvio.
Tradizione ed attualità, storie collettive e personali si incrociano nel ritorno discografico, dopo alcuni anni, del sassofonista vicentino Michele Polga, pubblicato dall’etichetta che, nel corso degli anni, ha svolto un ruolo determinante per la diffusione del jazz in Italia e contribuito allo sviluppo di molte idee musicali fatte proprie da musicisti come Polga. Oggi, nella sua nuova incarnazione sotto l’egida di Marco Pennisi, l’etichetta fondata nel 1976 da Sergio Veschi, oltre ad alimentare un catalogo di riedizioni realizzate con massima cura per l’aspetto tecnico e grafico, è anche “casa” di musicisti che su quei dischi rossi hanno svolto una rilevante parte del proprio apprendistato.
“Doors” farà felici i seguaci dell’hard/post bop, non pochi fra gli abbonati di traccedi jazz, che si riconosceranno, fin dalle prime note dello scattante tema di “Back and forth” nei canoni dell’amato idioma, protagonista un tenore che si iscrive nella tradizione Coltrane/Henderson, cui aggiungerei Mike Brecker, con un suono pieno, profondo ed un fraseggio fluido in grado di condurre senza forzature il veicolo del quartetto in corse sfrenate o assorte souplesse a seconda del clima di composizioni costruite con avveduto senso architettonico. Detto di una ritmica Gabriele Evangelista/Bernardo Guerra, dalle palpabili qualità di solido sostegno e dinamica inventiva, l’elemento che inserisce nel contesto interessanti aspetti innovativi è il pianoforte di Alessandro Lanzoni, già apprezzato in diverse formazioni e situazioni, che qui assume il ruolo di indirizzo verso dimensioni inattese rispetto allo sviluppo dei brani, aprendo le porte (le doors del titolo ?), ad inaspettati sviluppi ritmici ed armonici .
Prendendo come esempio il brano d’esordio, al tema dinamico ed elastico fa seguito un lungo solo del tenore costruito con accurata strategia narrativa: poi verso la metà della durata ecco il pianoforte, che inizialmente segue la traccia segnata, introducendo qualche piccolo elemento di deviazione, quindi conquista un territorio autonomo, con volute di ampio respiro che scardinano la scansione ritmica, prima della conclusione collettiva sul tema di avvio.
I nove brani in scaletta sono tutti originali tranne un remake di “Along came Betty” di Benny Golson collocato da un dialogo in duo sax / pianoforte in un territorio di confine fra interpretazione e libera creazione, ed alternano episodi veloci e ritmicamente spigliati come “Sunday afternoon” ed “Unsaid” a ballads che consentono ampi spazi di esplorazione, dialogo ed approfondimento fra i due principali protagonisti ( la title track, il tema meditato di “Late winter” a cui Evangelista offre una sentita escursione personale, l’intimità di un inno personale come “Baxòcheche“, dedicata al papà).
“Re Trane“, aperta dal circolare andamento dei tamburi, è un chiaro omaggio al Coltrane spirituale di “A love supreme”, da tempo nel repertorio del sassofonista: si avverte, nelle parti soliste del sax e del pianoforte che seguono l’esposizione dello stentoreo tema, così come nella ritmica a stento trattenuta, un desiderio di fuga ed astrazione dalle gabbie formali, forse un’altra “porta” aperta per il quartetto.
La chiusura è affidata alla leggera brezza di “After a while”, un tema conciliante sul quale tutti gli strumenti sembrano convenire sulla necessità di un momento di dialogo rilassato. Prima di chiudere l’ultima porta.
Doors» di Michele Polga, la tradizione come leva per il futuro del jazz.